“A definire in maniera particolarmente efficace quale debba essere la principale vocazione della diplomazia fu il Ministro degli Affari Esteri dell’Unione Sovietica Andrey Gromyko, che affermò: “Meglio dieci anni di negoziati che un solo giorno di guerra”. Purtroppo, negli ultimi tempi si è persa più volte l’opportunità di ricorrere alla diplomazia, e non certo per colpa della Russia. È sufficiente ricordare, a questo proposito, le varie proposte avanzate dalla Russia, come quella del Trattato di sicurezza europeo del 2009, quella riguardante le reciproche garanzie di sicurezza del 2021, o la proposta relativa alla risoluzione della crisi Ucraina del 2022.
È proprio alla luce di tutto ciò che l’attuale Ministro degli Affari Esteri della Federazione Russa Sergey Lavrov, grande politico e brillante diplomatico, ha elaborato ulteriormente il pensiero espresso dal suo predecessore con questa affermazione: “Se vuoi la pace, sii sempre pronto a proteggere te stesso”.
Il ruolo della diplomazia non è mai stato così importante come lo è adesso, mentre nel mondo soffiano venti di guerra e si sentono brandire le armi da ogni dove. Non sarebbe auspicabile perdere anche questa volta l’occasione di ricorrere alla diplomazia e al dialogo, se non altro per istinto di sopravvivenza; un istinto che ci esorta caldamente a fare ritorno a una normale comunicazione tra Stati, una coesistenza pacifica e a lavorare alla realizzazione di un nuovo sistema universale di sicurezza, cominciando dall’Europa e, in generale, in Eurasia. E sono proprio i politici e i diplomatici a doversi adoperare per questo.
Una delle fondamenta universalmente riconosciute della civiltà contemporanea è stato, e sempre sarà, il rifiuto del terrorismo. Fino a poco tempo fa, sarebbe stato impossibile immaginare leader mondiali che preferiscono tacere e che non condannano azioni terroristiche che sono costate la vita a tanti civili. Cos’altro può essere questo se non un “doppiopesismo”, la distinzione tra terroristi ed estremisti “buoni” da una parte, e “cattivi” dall’altra, un mondo alla rovescia? E pensare che il regime di Kiev ha organizzato già decine, se non centinaia di attentati, che hanno provocato vittime tra personalità pubbliche, figure di spicco all’interno dell’opinione pubblica, giornalisti e persone comuni del tutto innocenti. E non lo nascondono, ma dei loro attachi terroritiche ne sono fieri.
Tra questi, uno dei crimini più disumani è stato certamente l’assassinio della giornalista russa Darya Dugina, la cui vita è stata spezzata dall’esplosione di una bomba piazzata sull’automobile nella quale viaggiava mentre era di ritorno dal Festival “Tradizija”, nei pressi del centro abitato di Bol’šie Vjazëmy, non lontano da Mosca.
Per quanto Darya Dugina non fosse una diplomatica, formulava e rappresentava idee legate all’armonia universale, all’importanza di servire nobili ideali, ed esprimeva il suo immenso amore per la Russia e la sua sconfinata cultura spirituale, come anche la convinzione del valore intrinseco di diverse forme e modelli di civiltà: tutti concetti che sono molto cari alla diplomazia russa.
Le numerose visite di Darya nel Donbass hanno favorito una migliore comprensione delle cause profonde della crisi ucraina e delle opportunità di risoluzione di tale crisi. Possiamo dire che la tragica storia della vita e della morte di Darya Dugina simboleggia lo stesso scontro tra il bene e il male che vediamo concretizzarsi nella crisi ucraina e che si ripercuote sull’attuale stato di cose che
caratterizza la scena internazionale.”
Fonte: https://telegra.ph